Il trauma precoce: implicazioni per la psicoterapia

di Irene Del Monte

Gli studi mostrano con sempre maggiore forza come le esperienze traumatiche in infanzia risultino il primo fattore di rischio per tutte le psicopatologie e come queste siano correlate sia alla gravità della patologia stessa che ad una peggiore prognosi (Lanius et al., 2012).

I dati sull’incidenza del trauma in infanzia non sono incoraggianti: nel 2020 l’American Journal of Psychiatry ha stimato che circa un bambino su quattro sperimenterà abuso o neglect nel corso del suo sviluppo e che uno su sette lo ha sperimentato nell’ultimo anno.

Dal recente Child Maltreatment Report (2020) emerge che circa il 25% della popolazione generale ha subìto abusi durante l’infanzia, tra cui 76,1% neglect, 16,5% abuso fisico e i9,4% abuso sessuale. Di questi, circa il 92% degli abusi è stato perpetrato da parte di uno o entrambi i genitori.

Questi dati tuttavia potrebbero rappresentare una stima parziale del fenomeno: gli studiosi parlano infatti di un’epidemia nascosta in quanto una gran parte di abusi non viene mai denunciato o perché non ricordato, oppure perché non riconosciuto come tale (ad esempio, alcuni stili genitoriali come quello iperprotettivo o controllante possono essere considerati positivi e venir rinforzati dalla società stessa).

Una definizione di trauma

Ma cosa può essere definito come trauma? In campo medico, ad esempio, per trauma si intende una lesione che dà discontinuità e interruzione funzionale, prodotta da un agente capace di azione improvvisa, rapida e violenta. In ambito psicologico il trauma è un’esperienza di minaccia, un’azione di violenta e inattesa intensità, alla quale l’individuo non può sottrarsi e di cui non riesce a comprendere né tollerare il senso.

La ricerca suggerisce dei criteri specifici che possono aiutare ad identificare un evento come traumatico (Fadda e Cosentino, 2021):

– la presenza di una minaccia improvvisa e inaspettata tale da superare le normali capacità di adattamento della persona;

– compromette il senso di continuità fisica e psichica della persona;

– produce credenze di imprevedibilità sul mondo esterno;

– la persona vive sensazioni di vulnerabilità, impotenza, perdita di controllo ed intense emozioni di paura e/o dolore.

L’attaccamento traumatico

Un costrutto di ampio interesse – e oggetto di sempre più numerosi studi – è quello del trauma relazionale precoce o attaccamento traumatico, un trauma relazionale che coinvolge le figure di attaccamento del bambino e che va a minacciare il suo primario bisogno di sicurezza (Schore, 2000). In questi casi, il caregiver diventa contemporaneamente fonte di minaccia e di protezione, causando nel bambino l’attivazione simultanea del sistema di attaccamento e del sistema di difesa, innescando conseguenze a livello relazionale e metacognitivo. L’esperienza risulta traumatica in quanto il bambino è esposto alla minaccia senza possibilità di sottrarsene, poiché la minaccia proviene dalla sua principale fonte di rassicurazione, il caregiver appunto. Tra le caratteristiche della figura di accudimento che possono determinare un trauma, rientrano l’incapacità del caregiver di mentalizzare i bisogni del bambino, un deficit regolazione dell’arousal nel caregiver, il fallimento nella sintonizzazione delle emozioni, la mancanza di un senso di protezione o un iper-allarme.

Pensiamo ad esempio ad una madre che soffre di depressione post partum, oppure che sta affrontando un cancro, o che non riesce a sintonizzarsi emotivamente con il figlio a causa del suo attaccamento problematico, o che soffre di un disturbo di panico. In tutte queste situazioni la figura di accudimento fatica a rivestire quella funzione di contenimento e regolazione degli stati emotivi del bambino, che può rimanere dunque solo nel fronteggiare la minaccia. Ciò che viene a mancare in questi casi, dunque, è la presenza di un caregiver stabile, sensibile e responsivo, che invece – in quanto esperienza prevista per la specie umana – rappresenta una discontinuità nello sviluppo funzionale del bambino. Di conseguenza, il bambino potrebbe non costruire ed organizzare in modo coerente i comportamenti di attaccamento, favorendo la disorganizzazione e la dissociazione: gli studi neuro-funzionali evidenziano come i traumi precoci possono potenzialmente alterare i processi psicobiologici implicati nell’elaborazione delle emozioni (in particolare della paura), la regolazione dell’esperienza di sé e degli altri e la cognizione sociale (Olff et al., 2019), alterando la connettività anatomica e funzionale ed impedendo di fatto il corretto funzionamento delle capacità integrative (Teicher et al., 2016).

La sintonizzazione emotiva, cognitiva e motivazionale con un caregiver sensibile e responsivo promuove infatti l’integrazione delle rappresentazioni mentali di sé e dell’altro, gli stati affettivi, i significati personali, le attitudini e i bisogni all’interno di una organizzazione coerente che chiamiamo Sé (Schore, 2021).

Trauma e psicopatologia

Quali conseguenze psicologiche comporta un trauma relazionale precoce? Gli studi hanno evidenziato come queste esperienze attivino diversi processi patogenetici, tra cui:

– alterazioni nell’arousal: difficoltà a regolare l’attivazione anche di fronte a stress lievi o moderati che può condurre ad una ipo- o iper-reattività agli stimoli;

– deficit nelle capacità integrative e nella mentalizzazione;

– eccessivo ricorso a strategie difensive, come il distacco, la derealizzazione e la depersonalizzazione, fino alla dissociazione;

– formazione di schemi interpersonali disfunzionali;

– costruzione di credenze patogene (inaiutabilità, indegnità, impotenza, sfiducia…).

Il trauma relazionale precoce risulta inoltre associato a diverse psicopatologie, come il disturbo post traumatico da stress, il disturbo borderline di personalità, i disturbi dissociativi, i disturbi somatoformi, i disturbi della condotta alimentare, i disturbi dell’umore, le psicosi, il disturbo ossessivo compulsivo e l’abuso di sostanze (Farina, Liotti, Imperatore, 2019).

Implicazioni per la terapia

La relazione terapeutica è un prezioso spazio di cura per i pazienti con trauma precoce. Il terapeuta ha infatti un ruolo importante nella sintonizzazione emotiva e cognitiva, agendo a tutti gli effetti come un facilitatore dell’integrazione cognitiva ed emotiva del paziente. La relazione terapeutica può fornire infatti al paziente un’esperienza emozionale correttiva, all’interno della quale apprendere delle strategie di regolazione ed integrazione dell’esperienza maggiormente funzionali, promuovendo inoltre l’attivazione del sistema di accudimento e cooperazione.

Vi sono tuttavia delle insidie nella relazione terapeutica con i pazienti con trauma relazionale, in quanto è probabile che questi tenderanno ad attuare i loro schemi relazionali disfunzionali anche al suo interno. Il paziente potrebbe alternare in modo rapido e caotico l’idealizzazione del terapeuta come suo salvatore con la svalutazione dello stesso come persecutore o minaccia, disregolazioni emotive e comportamentali, sintomi dissociativi come difesa ad una minaccia relazionale, forti timori abbandonici con conseguente attivazione emotiva disorganizzata.

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Bibliografia

Fadda, S., & Cosentino, T., 2021. Disturbo da stress post-traumatico. In Gragnani, A., & Perdighe , C. (a cura di), Psicoterapia Cognitiva. Comprendere e curare i disturbi mentali. 559-581. Raffaello Cortina Editore.

Farina, B., & Liotti, G., (2011). Dimensione dissociativa e trauma dello sviluppo. Cognitivismo clinico (8), 3-17.

Farina, B., Liotti, M., & Imperatori, C., (2019). The Role of Attachment Trauma and Disintegrative Pathogenic Processes in the Traumatic-Dissociative Dimension. Front. Psychol. 10:933.

Lanius, R. A., Vermetten, E., Pain C., (a cura di) (2012). L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta. Roma: Fioriti Editore

Lippard, E. T., & Nemeroff, C. B. (2020). The devastating clinical consequences of child abuse and neglect: increased disease vulnerability and poor treatment response in mood disorders. American journal of psychiatry, 177(1), 20-36.

Olff, M., Amstadter, A., Armour, C., Birkeland, M. S., Bui, E., Cloitre, M., Ehlers, A., Ford, J. D., Greene, T., Hansen, M., Lanius, R., Roberts, N., Rosner, R. & Thoresen, S., (2019). A decennial review of psychotraumatology: what did we learn and where are we going?, European Journal of Psychotraumatology, 10:1,

Schore, A. N. (2000). Attachment and the regulation of the right brain. Attachment & human development, 2(1), 23-47.

Schore, A. N. (2021). The interpersonal neurobiology of intersubjectivity. Frontiers in Psychology, 12, 648616.

Teicher M. H., Samson J. A., Andreson C. A., Ohashi K., (2016). The effects of childhood maltreatment on brain structure, function and connectivity. Nature, 652 – 666.

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