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La Terapia Focalizzata sulla Compassione (TFC) è un approccio psicoterapeutico, che fa parte della cosiddetta “terza onda” della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Il suo razionale si basa sulle tecniche cognitivo-comportamentali, sulla teoria dell’attaccamento e sui dati di ricerca nell’ambito della neurofisiologia relativi alle relazioni interpersonali.
COMPASSIONE E MENTE COMPASSIONEVOLE
La compassione è un atteggiamento non giudicante, indulgente ed empatico, è comprendere il comportamento umano senza etichettarlo, è sensibilità alla sofferenza accompagnata dalla motivazione ad alleviarla o a prevenirla. La compassione può essere raffigurata graficamente attraverso il Cerchio della Compassione (Gilbert, 2009).
Nel cerchio interno sono indicati gli attributi che consentono e facilitano un orientamento basato sull’approccio al dolore. Gli attributi ci consentono di essere motivati ad impegnarci con la sofferenza, a comprenderla e tollerarla. La motivazione è quindi focalizzata sulla cura e coordina e dirige gli altri attributi. Nel cerchio esterno troviamo invece le abilità compassionevoli, legate al processo grazie al quale cerchiamo di alleviare con saggezza la sofferenza. Attributi e abilità costituiscono la mente compassionevole e sono caratterizzati da interdipendenza: si alimentano l’un l’altro e si manifestano in maniera imprescindibile in un contesto definito da calore.
I SISTEMI DI REGOLAZIONE EMOTIVA
Nel nostro cervello sono presenti tre sistemi di regolazione affettiva che guidano il raggiungimento dei nostri scopi e sono responsabili di diverse emozioni.
Il sistema di protezione dalla minaccia è responsabile delle emozioni atte a mantenere o ristabilire una condizione di sicurezza tramite un rapido fronteggiamento del pericolo, la sua funzione è quella di individuare nel minor tempo possibile i pericoli e selezionare una strategia efficace. Il threat system coinvolge specifiche strutture cerebrali come l’amigdala e l’asse ipotalamo-ipofisi- surrene (Le Doux, 1998). Le emozioni di cui il sistema di protezione dalla minaccia è responsabile sono dolorose e spiacevoli: ansia, disgusto, invidia, vergogna, gelosia. Questo sistema è deputato alla protezione, ed è doveroso ricordarlo per comprendere in termini evoluzionistici il motivo per cui tutte le risorse cognitive sono focalizzate sullo stimolo ritenuto minaccioso. In particolare, al threat system sono associate alcune specifiche funzioni cognitive come l’attenzione selettiva, il better safe than sorry, la memoria intrusiva e i comportamenti protettivi (freeze, fight, flight e submission) volti a difenderci dalle minacce e a scampare i pericoli.
Il sistema di ricerca di stimoli e risorse è responsabile del piacere, dell’eccitamento e dell’orgoglio. La sua funzione è guidarci verso il raggiungimento di scopi di vita attraverso emozioni positive ed energizzanti che ci motivano e incoraggiano a cercare risorse per sopravvivere e prosperare. Il drive and excitement system è socialmente molto apprezzato, in quanto legato al successo e all’acquisizione di beni; si è evoluto per motivarci ad ottenere beni fondamentali per la sopravvivenza e la riproduzione: cibo, sesso, amici, soldi, carriera. Siamo motivati ad inseguire questi obiettivi, sentiti come veri e propri bisogni, e una volta ottenuti percepiamo una gradevole sensazione di piacere che funge da rinforzo, aumentando la frequenza di emissione del comportamento che l’ha generata. A livello chimico viene prodotta dopamina ed è coinvolto il sistema nervoso simpatico che spinge all’azione. Il sistema nervoso simpatico si innesca quando siamo minacciati e quando siamo eccitati: è quindi sottostante sia al sistema di protezione dalla minaccia sia a quello di ricerca di stimoli e risorse. Quando un ostacolo si frappone tra noi e i nostri desideri si attiva il sistema di protezione dalla minaccia che rimane in funzione fino al superamento dell’ostacolo o al disinvestimento dallo scopo.
Il sistema calmante è associato ad una sensazione di benessere e connessione con le persone ed è responsabile delle emozioni di appagamento, calma e tranquillità; queste sensazioni si sviluppano attraverso interazioni caratterizzate da calore e affiliazione. Tali emozioni vengono tipicamente sperimentate nel momento in cui non dobbiamo difenderci da pericoli e non stiamo tentando di realizzare un obiettivo (Depue & Morrone-Strupinsky, 2005). Il soothing system è connesso all’attivazione del profilo neuro-ormonale delle endorfine e dell’ossitocina e al sistema nervoso parasimpatico che ci rallenta e ci aiuta a sentirci tranquilli; non è quindi presente una spinta all’azione. Genera uno stato di quiete e appagamento cioè un’emozione di soddisfazione per le cose così come sono, accompagnato da un senso di sicurezza. Secondo Gilbert (2018) il sistema calmante si è sviluppato in concomitanza allo sviluppo della motivazione all’attaccamento e all’accudimento, sistemi motivazionali che promuovono l’affiliazione, la cura e la vicinanza fisica.
TERAPIA FOCALIZZATA SULLA COMPASSIONE E TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si iniziò a studiare l’impatto delle relazioni sociali e dell’accudimento sulla salute mentale dei bambini e su quella degli animali prossimi all’uomo. Grazie a questi studi si è giunti a dimostrare che l’affetto, il calore e le emozioni positive sono fondamentali per la salute delle persone in ogni fase di vita (Cozolino, 2007).
Sentirsi accuditi e accettati, e sperimentare un senso di appartenenza è essenziale per il nostro sviluppo fisiologico e per il nostro benessere. L’appagamento e la sensazione di sicurezza sono correlati a minori livelli di ansia, stress e depressione più di quanto accada per emozioni positive come l’euforia e l’eccitamento.
Dal punto di vista evoluzionistico, l’accudimento riveste un ruolo primario nei mammiferi. La teoria dell’attaccamento postula che una base sicura faciliti l’esplorazione, in quanto la persona è consapevole di avere assistenza e conforto al bisogno. Secondo la teoria dell’attaccamento le persone nel corso del tempo sviluppano dei modelli operativi interni, e cioè delle rappresentazioni delle relazioni di attaccamento, che influenzano il modo in cui si sperimenteranno le minacce e si reagirà ad esse in futuro. I modelli operativi interni hanno implicazioni non solo sulle modalità di risposta alle minacce, ma anche sul modo in cui vengono percepite le altre persone – disponibili o no – e se stessi – degni di cura e gentilezza o indegni e sbagliati.
L’evoluzione del sistema di accudimento è parallela a profondi cambiamenti nel sistema nervoso centrale e periferico. Le endorfine e l’ossitocina, ad esempio, si sono evolute al fine di regolare i processi tipici dello stato percepito di minaccia, inibendo la risposta attacco-fuga e promuovendo l’interesse sociale e l’accudimento (Bell, 2001). Alla base dei comportamenti prosociali di condivisione e accudimento c’è anche l’evoluzione delle componenti mieliniche del nervo vago. Più le persone si sentono al sicuro più riescono ad essere flessibili nel loro ambiente (Porges, 2007) e questo si riflette nel bilanciamento dinamico del sistema nervoso simpatico e parasimpatico che determinano la variabilità del ritmo cardiaco.
Un alto livello di variabilità del ritmo cardiaco (HRV – heart rate variability) è associato ad una maggiore capacità di tranquillizzarsi autonomamente, cioè di essere in grado di abbassare velocemente il livello di attivazione dovuto alla percezione di una minaccia. La sensazione di essere al sicuro è quindi connessa alla variabilità del ritmo cardiaco che è a sua volta associato ad una maggiore capacità di tranquillizzarsi, abbassando il livello di arousal, quando si è stressati. Petrocchi e Cheli (2019) hanno inoltre dimostrato che un alto HRV misurato all’inizio di un percorso psicoterapico risulta essere un precursore di maggiori risultati terapeutici, minore rischio di drop-out e maggiore disponibilità ad accettare tecniche esperenziali come ERP, esposizioni e imagery, che possono essere percepite dai pazienti come aversive.
REGOLAZIONE EMOTIVA E TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Le persone con psicopatologie croniche spesso hanno un passato caratterizzato da stress e bassi livelli di cura e altruismo.
La Terapia Focalizzata sulla Compassione ipotizza che persone che non hanno sperimentato cura e comportamenti affiliativi durante l’infanzia abbiano difficoltà ad accedere al sistema calmante di regolazione emotiva: l’ipotesi è che, date le esperienze precoci, si sia reso per loro funzionale permanere in un costante stato di allerta, dando origine ad un sistema di protezione dalla minaccia ipertrofico, con manifestazioni di ipercriticismo e un conseguente iposviluppo del sistema calmante.
Queste persone possono sperimentare spesso emozioni di vergogna e autocritica, e trovare difficoltà ad aprirsi alla gentilezza verso se stessi e verso gli altri. Allenare queste persone a distanziarsi dai propri pensieri e dalle proprie emozioni, e a trattare se stesse con più compassione e gentilezza è quindi fondamentale, tanto quanto addestrarle alle classiche tecniche di matrice cognitivo-comportamentale.
Dal punto di vista evoluzionistico, il sistema di protezione dalla minaccia è stato fondamentale per la sua funzione adattiva, così come è attualmente fondamentale per la sua funzione di rilevazione e risposta ai pericoli: ci aiuta a minimizzare i danni. Nonostante la sua indiscutibile importanza però, può anche crearci delle difficoltà in quanto, essendo progettato per funzionare in caso di emergenza e pericolo, prevede una reazione poco attenta e ragionata.
La corteccia frontale viene aggirata, privilegiando percorsi veloci a carico del sistema limbico, in particolare dell’amigdala. Sovrastimare il pericolo, secondo il principio del better safe than sorry, sicuramente protegge dalle minacce, ma è anche il motivo per cui sentiamo così tanto spesso parlare di ansia.
Per lo stesso motivo il sistema di protezione dalla minaccia, una volta attivato, silenzia gli altri sistemi indirizzando l’attenzione selettivamente sul pericolo, bloccando qualsiasi esperienza positiva. Sembra quindi che la sintomatologia di questa tipologia di pazienti sia attribuibile al maggiore sviluppo del sistema della minaccia, a sua volta spiegabile grazie al suo maggiore grado di accessibilità.
Allo stesso tempo il sistema calmante è più difficilmente attivabile, sia a causa della sua ridotta stimolazione in età evolutiva, sia per un condizionamento di tipo aversivo caratterizzato da figure di accudimento poco prevedibili e ambivalenti. Gilbert (2019) suggerisce che i pazienti con questo tipo di funzionamento – caratterizzato da forte autocritica e intensa vergogna – esperiscono difficoltà a formulare e ad assimilare interpretazioni alternative.
Questo avverrebbe a causa dell’iperattivazione del sistema di protezione dalla minaccia e all’incapacità di attivare il sistema calmante, responsabile di rassicurazione e accettazione.
Il sistema calmante è quindi come se fosse disconnesso, rendendo la persona in grado di comprendere la logica sottostante alle ipotesi alternative funzionali, ma nello stesso tempo assolutamente incapace di “sentirla” vera. Il tono emotivo in cui questa tipologia di pazienti formulano i loro pensieri alternativi è spesso freddo, distaccato o addirittura aggressivo. Questo tono ha un impatto differente rispetto a quello di una ristrutturazione fatta con gentilezza, calore e incoraggiamento. Questo vale per i pensieri alternativi, ma anche per le esposizioni e gli homework.
È quindi necessario, secondo Gilbert, che il sistema calmante sia primariamente riattivato, in modo che sia in grado di percepire e metabolizzare stimoli esterni calmanti. In questa prospettiva Gilbert prevede un training capace di insegnare ai pazienti a ripristinare volontariamente il sistema calmante in modo che questo possa anche regolare il sistema di protezione della minaccia e quello di ricerca di stimoli e risorse.
È interessante sottolineare come il sistema calmante, il cui funzionamento è compromesso, abbia bisogno di sollecitazioni di natura interpersonale caratterizzate da calore, accettazione e gentilezza. Tuttavia questi stimoli, capaci di generare una vera e propria riabilitazione sul soothing system, possono avere sia natura interpersonale – possono cioè essere emessi da altri verso di noi, o da noi verso altre persone – sia natura intrapsichica.
Non esistono infatti differenti sistemi neurobiologici per stimoli interni o esterni: i processi cerebrali coinvolti nell’autocritica e nella compassione di sé sono i medesimi stimolati dalla critica e dalla compassione di altre persone nei nostri confronti.
TERAPIA FOCALIZZATA SULLA COMPASSIONE E OSSITOCINA
La compassione induce una modulazione neurochimica che sembra avere un ruolo centrale nella riduzione dell’attivazione del sistema di protezione dalla minaccia e del relativo set di credenze, facilitando il cambiamento emotivo e cognitivo della persona.
L’ossitocina è un neuropeptide, la cui funzione primaria è la stimolazione delle contrazioni uterine durante il parto. Sempre più studi dimostrano che l’ossitocina, prodotta durante scambi sociali caldi e improntati sulla fiducia, ha un effetto significativo sull’assetto cognitivo ed emotivo delle persone. In particolare, un aumento dell’ossitocina nel sangue sembra essere connesso ad una maggiore sensazione di calma e fiducia, dovuta all’inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, regione cerebrale associata alla paura.
Una serie di esperimenti ha dimostrato come un aumento del livello di ossitocina sia in grado di aumentare la fiducia nei confronti di se stessi e degli altri, con conseguente aumento dei comportamenti altruistici (Zak, 2012). È interessante constatare che l’effetto calmante dell’ossitocina non sembra veicolato da una minore percezione di pericolo, ma da una maggiore fiducia sulle proprie risorse interiori (De Dreu, 2012).
Anche la sensazione di “common humanity” sembra aumentare proporzionalmente con i livelli di ossitocina, diminuendo l’emozione della vergogna e aumentando la sensazione di connessione sociale durante periodi di difficoltà (Keltner, Smith & Marsh, 2010) e diminuendo la sensibilità allo stress.
TERAPIA FOCALIZZATA SULLA COMPASSIONE E AUTOCRITICA
Il Dalai Lama (1995) attribuisce alla compassione il potere di cambiare la mente, essendo in grado di modificare lo stile cognitivo delle persone – coinvolgendo funzioni come attenzione, memoria, motivazione, ragionamento.
L’autocritica, secondo Gilbert, non è altro che una strategia di coping disfunzionale, che ha avuto origine in un ambiente di sviluppo percepito come imprevedibile, minaccioso, o in cui la sensazione di amabilità viene difficilmente sperimentata. Le persone che provengono da un contesto amorevole tendono a piacersi e a sentirsi degne di essere amate.
Al contrario, persone che provengono da ambienti violenti, invalidanti o di privazione, spesso si percepiscono come indegne di amore e manifestano forte autocritica. Questa regolazione emotiva tesa a monitorare e punire aspramente gli errori connessi, anziché incoraggiarsi e accudirsi, avrebbe il ruolo di mantenere il locus of control interno, cioè la percezione di controllare gli eventi esterni negativi, essendo più attenti a questi, con l’effetto collaterale di darsi la colpa e responsabilità per l’accaduto.
Per questo motivo l’autocritica servirebbe come difesa parossistica rispetto alla sensazione di immodificabilità degli eventi negativi esterni accaduti. In realtà, il locus of control interno è solo percepito: nei fatti l’autocritica alimenta un circolo vizioso che mantiene la credenza di poter controllare e modificare una situazione che non si riesce ad accettare come non modificabile (Gilbert, 2009).
Sembra che le conseguenze patogene siano secondarie non tanto al contenuto semantico dell’autocritica quando alle emozioni di rabbia e disprezzo tipiche del fenomeno. L’autocritica, trasversale a differenti psicopatologie, si configura come un fattore di mantenimento della sintomatologia connessa all’iperattivazione del threat system: l’invalidazione del proprio stato emotivo, il disprezzo verso sé stessi, la vergogna e il senso di indegnità si manifestano con un dialogo interiore che continuamente svaluta, denigra e commenta in tono sprezzante e freddo le esperienze del soggetto.
Il self talk autocritico, fatto di freddezza e svalutazione, mantiene il threat system, in un circolo vizioso che tende all’autoinvalidazione perenne e a perpetuare la sensazione di minaccia, pericolo e imprevedibilità. Proprio per questo motivo l’obiettivo di un terapeuta TFC è far comprendere le origini e le funzioni del comportamento autocritico e i vantaggi di un comportamento gentile e compassionevole.
Spesso può essere utile utilizzare le tecniche di chairwork per visualizzare e comprendere l’autocritica, collocando il sé critico su una postazione per esplorare i relativi pensieri e le conseguenti emozioni, per poi far spostare la persona e indagare le strategie di fronteggiamento.
È fondamentale entrare in contatto con la narrazione autocritica e con i suoi significati, lo scopo è quello di sviluppare un sé compassionevole con la parte autocritica.
E’ imprescindibile cercare di comprendere le funzioni del comportamento di autocritica: spesso ha la funzione di avvertimento o serve a segnalare eventuali errori, per evitare di commetterli o di perseverare; altre volte la funzione dell’autocritica è la gestione di un altro giudicato potente e il proprio comportamento è l’unica fonte di controllo in una dinamica che viene letta in chiave causale: faccio qualcosa che innesca il comportamento negativo altrui, mi giudico e critico per apprendere come non scatenare il comportamento altrui indesiderato.
È importante spiegare ai pazienti l’analisi funzionale della propria autocritica, individuando i vari condizionamenti presenti, imparando a comprendere il fenomeno ed eventualmente a motivare all’impegno per essere compassionevoli. Un ostacolo al lavoro può essere il timore, da parte dei pazienti, di poter essere arroganti e fuori controllo senza la “guida” dell’autocritica.
Nel lavoro con le sedie, immaginando la parte autocritica, è facile però notare come questa sia connessa ad emozioni proprie del sistema di protezione dalla minaccia, come rabbia, disprezzo e frustrazione. Questo tipo di autocritica non ha perciò come fine il benessere.
La soluzione è quella di connetterci ad un sistema emotivo che ci permetta di correggerci, basato non sul dovere ma sul volere fare una correzione, essendo positivamente motivati a fare del nostro meglio. È fattibile attingendo dal modello dei tre cerchi, in una sorta di psicoeducazione che ha come fine ultimo un automiglioramento compassionevole.
Lo scopo della TFC non è quindi solo quello di stimolare il sistema calmante, bensì di bilanciare tutti e tre i sistemi di regolazione emotiva: ad esempio è utile lavorare sul sistema di ricerca di stimoli per implementare la motivazione e il raggiungimento di obiettivi (pensiamo ad esempio alla depressione e all’intervento di attivazione comportamentale). Fin dalla nascita e lungo tutto l’arco di vita la gentilezza avrà un enorme impatto sul nostro cervello e sui nostri stati mentali.
Gli esseri umani sono biologicamente progettati per rispondere alla gentilezza: la nostra salute mentale, il nostro sistema immunitario, lo sviluppo della corteccia cerebrale, la nostra capacità di empatia e la nostra creatività funzionano meglio quando si ama e si è amati.
TERAPIA FOCALIZZATA SULLA COMPASSIONE E RELAZIONE TERAPEUTICA
Dopo quanto detto, è intuibile quanta importanza rivesta la relazione terapeutica nell’ottica della Terapia Focalizzata sulla Compassione.
I clinici, infatti, per ricreare un clima di “attaccamento sicuro” atto all’esplorazione, imparano a modulare il tono e la velocità dell’eloquio, la comunicazione non verbale e a creare una relazione sicura in grado di far sentire il paziente nella condizione di sperimentare. È importante che il terapeuta rimandi un’immagine compassionevole e riesca a creare un clima di calore e condivisione in cui il paziente si senta accettato, supportato e incoraggiato mentre esplora se stesso e impara ad approcciarsi alle difficoltà e alla sofferenza con flessibilità cognitiva, accettazione e coraggio.
La condivisione è una risorsa innata degli esseri umani e ha un forte valore adattivo: l’uomo ha da sempre il desiderio di condividere, di essere compreso e validato, e la relazione terapeutica spesso rappresenta la prima occasione per sperimentare affiliazione e fungere da modello per le relazioni interpersonali e, soprattutto, per un self talk basato sulla gentilezza.
L’articolo è stato scritto dalla dott.ssa Lucia Destino – Psicologa Psicoterapeuta
Bibliografia
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