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Le variazioni di personalità tra le persone sono tradizionalmente definite attraverso macro-dimensioni.
Ad esempio, il Big Five, il modello di personalità con le maggiori evidenze scientifiche, presuppone l’esistenza di cinque fattori: estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale.
Molti altri modelli sono stati proposti presupponendo dimensioni e tratti diversi e non sempre sovrapponibili.
Tra tutte le dimensioni e i modelli proposti, indubbiamente il nevroticismo è la dimensione di personalità più studiata.
Tale rilevanza discende dalla sua capacità di predire diverse forme di psicopatologia al variare dei contesti culturali e applicativi.
Il nevroticismo è infatti considerato il dominio più pervasivo delle scale di personalità è definibile lungo un continuum che va dall’adattamento o stabilità emotiva al disadattamento.
La tendenza generale a sperimentare affetti negativi (es. paura, tristezza, imbarazzo, disgusto, rabbia, etc.) rappresenta il nucleo del nevroticismo assieme ad una generale suscettibilità alla sofferenza psicologica.
Nell’indagare la capacità predittiva del nevroticismo rispetto alla sofferenza psicologica, una delle questioni più dibattute è se tale costrutto si riferisca alla variabilità o all’intensità emotiva.
Da un lato infatti possiamo considerare tale generale suscettibilità di tratto come legata allo sperimentare cambi continui di stati emotivi.
Dall’altro lato possiamo invece pensare al nevroticismo come espressione di picchi ricorrenti e particolarmente intensi di sofferenza emotiva.
Per rispondere a questa domanda, un’équipe internazionale guidata dall’Università di Melbourne ha condotto una meta-analisi su oltre 1.200 partecipanti e 83.000 osservazioni longitudinali.
Per avere dei risultati attendibili i ricercatori hanno infatti cercato di comprendere come il nevroticismo di tratto si manifestasse nelle interazioni e nell’esperienze quotidiane.
Ad una prima analisi è emersa un’attesa correlazione positiva tra nevroticismo e variabilità emotiva.
Questo risultato era infatti coerente con le più diffuse concettualizzazioni di nevroticismo come una sorta di polo di contrasto della stabilità emotiva nel tempo.
I ricercatori hanno poi provato ad inserire nelle analisi un indice di variabilità per verificare la seconda ipotesi esplicativa presa in considerazione (ovvero che il nevroticismo fosse meglio definibile in termini di intensità emotiva).
Le nuove analisi condotte hanno visto scomparire la correlazione positiva con la variabilità emotiva.
Questo risultato ha dunque evidenziato come il nevroticismo si associa allo sperimentare emozioni negative più intense piuttosto che più variabili.
Questa importante ricerca mette dunque in dubbio usuali modelli di concettualizzazione focalizzati sulla variabilità emotiva e invita a ripensare a come le differenze individuali nella dimensione del nevroticismo predicano o predispongano a forme diverse di sofferenza psicologica.
L’articolo è stato scritto dallo staff della Redazione di PSYsimple
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