"Technoference": l'interferenza della tecnologia nella relazione madre-bambino

Madri assenti come nell’esperimento della Still Face?

L’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare dei cellulari e smartphone, ha cambiato radicalmente il modo in cui interagiamo con gli altri, sia da remoto sia nelle interazioni di persona.

Sono molti, ormai, gli studi che riportano gli effetti dell’utilizzo dei cellulari sulla salute mentale e sul benessere delle persone. Un maggior utilizzo di questi è, infatti, associato a problematiche quali ad esempio l’ansia (Reid & Reid, 2007).

Alcune recenti ricerche hanno iniziato ad occuparsi dell’effetto di questo fenomeno all’interno delle relazioni sentimentali, ma ciò che è ancora poco studiato è, se questo utilizzo, abbia o meno un impatto nelle interazioni genitori-figli; i dispositivi tecnologici possono, infatti, interferire nella sintonizzazione diminuendo la qualità del legame e fornendo sempre meno possibilità per feedback emozionali che sappiamo essere la base per lo sviluppo delle capacità di auto-regolazione emotiva (Field, 1994).

Si parla in tal senso di “Tecnhoference” (McDaniel, 2016) sincrasi (Techno+Interference) utilizzata nella lingua inglese per nominare l’effetto di interferenza che l’utilizzo delle tecnologie apporta alle interazioni nella vita quotidiana.

Si tratta di tutti quei comportamenti che in qualche modo interrompono la sintonizzazione con l’altro: controllare le notifiche delle mail durante il gioco, scrollare il telefono durante i pasti, leggere o rispondere ai messaggi durante una conversazione.

Ad oggi ciò che è emerso nell’ambito delle relazioni genitori e figli è che questo tipo di interferenza riduce la qualità della genitorialità (Beamish, Fisher, & Rowe, 2018) ed è associata a minori stimoli verbali e non verbali da parte dei genitori nei riguardi dei propri figli (Radesky et all, 2014).

Ancora oggi gli studi sono alle fasi iniziali sebbene vi siano i presupposti teorici ed empirci per esplorare più da vicino l’effetto di queste interazioni considerando che il telefono è ormai un dispositivo che hanno praticamente tutti; secondo dati Americani (Pew Research Center 2019) il 99% circa della popolazione dai 18 a 49 anni ne possiede uno.

Per valutare questo tipo di fenomeno i ricercatori sono partiti dal famoso esperimento della Still Face (Tronik, 1975) che si è posto l’obiettivo di valutare cosa accade al bambino se e quando l’interazione con la madre viene interrotta. I bambini, infatti, sono molto sensibili alla qualità degli scambi relazionali con i propri caregiver pertanto quando irrompono fasi di rottura vivono momenti potenzialmente stressanti e necessitano dell’aiuto dell’adulto per tornare ad un’emotività regolata.

L’esperimento originale consisteva in tre fasi: nella prima si monitora una normale interazione madre-bambino in cui la diade gioca in modo partecipe (Free Play, FP), nella seconda fase, detta Still Face (SF), la madre improvvisamente “sparisce” assumendo un’espressione faciale neutra, immobile ed impassibile ai vari eventuali tentativi del piccolo di ringaggiarsi nella relazione e nella terza fase, quella della Riunione (RU), l’adulto torna normalmente a sintonizzarsi con il bambino. Tale momento serve alla madre per riparare alla rottura e aiutare il bambino a ristabilire una interazione normale.

Tronik suggerisce che se i caregiver non sono in grado di riparare queste interazioni, che avvengono ripetutamente nel tempo, questo potrebbe portare a effetti sullo sviluppo emotivo a lungo temine (Tronik & Beeghly, 2011), al contrario la presenza di emozioni positive durante la fase di Still Face predice un attaccamento sicuro (Braungart-Rieker et al 2014).

Gli studiosi si sono pertanto chiesti se anche utilizzare il cellulare durante i momenti di interazione con i figli potesse in qualche modo essere paragonato al momento di assenza della fase Still Face e quali possano essere le conseguenze di un utilizzo continuativo di questi dispositivi.

A tal proposito Field et al. 1995 riportano come bambini di madri affette da depressione esprimessero meno distress rispetto al gruppo di controllo nel momento di assenza della madre. Gli autori suggeriscono che, poiché la depressione è qualcosa che viene vissuto giorno dopo giorno questa “abituazione” induca risposte emotive alle interazioni più attenuate durante la fase SF.

Questo porta a domandarsi se anche bambini che vivono in contesti con un livello di interferenza tecnologica alto, effettivamente riportino risultati analoghi all’esperimento.

Studi precedenti avevano già rilevato questo tipo di correlazione (Myruski et al., 2018) riscontrando che livelli più elevati di utilizzo di cellulari da parte della madre erano associati negativamente al recupero di una stabilità emotiva del neonato durante la fase di ricongiungimento.

Questo studio riporta importanti risultati circa l’impatto dell’utilizzo di dispositivi in presenza di bambini, tuttavia vi sono alcune limiti rilevati dagli stessi autori, come l’ampio range di età del campione, e alcune modifiche apportate al paradigma iniziale che in qualche modo potrebbero aver condizionato i dati ottenuti. Per esempio nello studio citato ai bambini è stata data la possibilità di muoversi liberamente o di utilizzare giocattoli durante la fase SF. Queste modifiche, sebbene necessarie per una maggiore validità ecologica dell’esperimento, comportano dei limiti, infatti giocare o muoversi liberamente aiuta i bambini ad adottare strategie di autoregolazione.

Uno degli ultimi studi è ad opera di ricercatori americani ( Stockdale, Porter, Coyne et al 2020) che si sono posti l’obiettivo riproporre il paradigma della Still Face rendendolo più fedele alla versione originale.

In aggiunta hanno indagato il ruolo delle convinzioni dei genitori circa l’utilizzo della tecnologia e dei dispositivi elettronici.

Lo studio si pone l’obiettivo di superare i limiti del precedente lasciando il bambino seduto, senza utilizzo di giocattoli, non potendolo toccare, l’esperimento modificato di Still Face possa produrre un effetto nella fase SF simile a quello di ricerche precedenti (Tronik & Cohn, 1989) Inoltre si pone anche di valutare se il ruolo delle le convinzioni dei genitori sull’appropriatezza dell’uso di dispositivi e il loro effettivo utilizzo in presenza di neonati, siano collegati al comportamento di questi durante il SFP.

Per garantire una validità ecologica gli esperimenti si sono stati svolti nelle abitazioni delle persone. Quindi nella fase FP le madri sono registrate mentre interagiscono liberamente con il proprio bambino (2 minuti), nella fase SF la mamma prende il telefono e lo utilizza per 2 minuti senza rivolgere sguardi al bambino, e infine la fase di RU (2 minuti) il caregiver mette via il telefono e torna a relazionarsi con il figlio.

I risultati registrano un forte effetto dell’esperimento in tutte le fasi; i bambini mostrano un aumento dell’affettività negativa, una diminuzione di quella positiva e una tendenza a ricercare auto conforto e comportamenti di fuga durante la fase SF, segnali della presenza di aspetti stressanti in assenza dell’interazione con la madre.

Inoltre riportano un aumento del distress in bambini più grandi di 9 mesi e questo può essere spiegato da più fattori: in primo dall’aumento di frustrazione dovuto al contenimento motorio (in bambini più grandi ovviamente è maggiore) e poi dal fatto che bambini più grandi hanno avuto più tempo per costruire la relazione con il caregiver e quindi essere più vulnerabili alle interruzioni di questa.

Infine la presenza di comportamenti rivolti agli oggetti nella fase di riunione in misura maggiore rispetto alla fase di Gioco Libero, tende a dimostrare un non totale recupero nella fase RU dal distress causato dalla madre impegnata con il cellulare.

Il secondo punto evidenziato dallo studio si proponeva, inoltre, di esaminare le potenziali relazioni tra i resoconti dei genitori sulla tecno-inferenza, le credenze relative all’utilizzo dei dispositivi e i comportamenti del bambino durante le fasi SF e RU del SFP. Ai genitori è stato chiesto di riportare sia quanto ritenessero appropriato utilizzare i cellulari con i propri figli, sia quanto effettivamente li utilizzassero.

Ciò che è emerso è che le convinzioni dei genitori sulla non-nocività dell’uso dei media sono risultate il fattore predittivo più forte dei comportamenti del bambino durante esperimento.

Questo può dipendere dal limite delle misure self-report che spesso riportano discrepanze rispetto all’effettivo comportamento misurato in altro modo.

Vanden Abeele, Beullens, and Roe (2013) hanno rilevato in un loro studio che le persone che usavano il cellulare raramente tendevano a dichiarare un uso eccessivo tramite questionari auto somministrati, mentre i forti utilizzatori di telefoni tendevano a dichiararne un utilizzo minore. Radeskey et al. (2016) hanno scoperto che i genitori si sentono in colpa per l’uso del cellulare quando sono con i loro bambini. È possibile che questi sentimenti rendano difficile per i genitori riferire accuratamente i propri comportamenti di tecnoferenza. Sicuramente utilizzare strumenti di misurazione più oggettivi (come apposite app) potrebbe risolvere questi tipi di bias.

Ciò che emerge è che soprattutto nei bambini più grandi le convinzioni di appropriatezza dell’utilizzo di dispositivi correla con una minore attivazione di comportamenti dis-regolati nella fase SF; ciò può essere spiegato dal fatto che bambini più grandi hanno già incamerato comportamenti di “assenza” dovuti all’utilizzo del cellulare nelle loro interazioni quotidiane e quindi essere maggiormente abituati ad atteggiamenti di Still-Face. Infine per bambini di tutte le età le credenze sull’appropriatezza dell’utilizzo di cellulari da parte dei caregiver correla con una fase SF più attenuata soprattutto rispetto all’affettività negativa. Ciò può suggerire che, quando i bambini incontrano ripetute interruzioni nelle interazioni con un caregiver, possono iniziare a mostrare risposte emotive attenuate, forse in modo non dissimile dai bambini con madri depresse.

Per concludere quello che emerge da questi dati è che sicuramente l’utilizzo della tecnologia nelle interazioni sociali ha un impatto che simula in modo abbastanza fedele la mancanza di sintonia nella diade madre-bambino. Studi futuri potrebbero aiutare ad avere più dati in materia in modo da poter imparare ed educare ad un utilizzo più consapevole di un nuovo modo di comunicare.

L’articolo è stato scritto dalla dott.ssa Elena Mannelli – Psicologa Psicoterapeuta

Bibliografia

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